
Dall’ormai mitico karaoke alla famosissima pratica dell’ofuro, passando per i cartoni animati manga, ed Hello Kitty, simboli del Giappone nel mondo. Poi ci soffermeremo su Kabukicho, celebre quartiere a luci rosse di Tokyo.
Negli articoli seguenti, focus sulle più diffuse ed interessanti curiosità su Tokyo, principale metropoli d’Oriente.
KABUKICHO – Il quartiere a luci rosse di Tokyo
Ogni megalopoli del mondo ha i suoi pregi e i suoi difetti, le sue caratteristiche peculiari, i suoi vizi e le sue virtù. Volendo trovare un punto in comune tra le metropoli mondiali di stampo occidentale, lo si potrebbe rintracciare nella capacità di offrire un elevatissimo numero di opportunità, e nell’abilità a soddisfare le esigenze più varie, comprese quelle che è meglio non ostentare. Quando si parla di Kabukicho si fa riferimento al quartiere a luci rosse di Tokyo, un’attrazione turistica a tutti gli effetti seppure non quella più importante. Siamo nella parte più orientale della città di Tokyo, nel cuore di Shinjuku, un’area contraddistinta da un’elevatissima concentrazione di night-club, strip-club, love-hotel e locali a luci rosse.
La storia di questo luogo ha inizio nell’epoca dell’Imperatore Meiji quando, in seguito alla revoca delle leggi che regolavano le relazioni con geishe e prostitute, questi decise di trasferire proprio in questo quartiere tutti i locali a luci rosse della città, con l’idea di confinare ad una zona precisa qualcosa da nascondere il più possibile. Con la fine dell’Era Meiji, tuttavia, le regole divennero molto più ferree, e il governo giapponese tentò di cambiare l’immagine di Kabukicho, edificandovi un teatro che alla fine fu trasferito a Ginza.
Al giorno d’oggi il quartiere a luci rosse di Tokyo consiste in un’area molto frequentata nelle ore notturne, e da decenni sotto il controllo della yakuza, nota organizzazione criminale giapponese che gestisce gran parte dei locali della zona, affiancata dalla Triade Cinese. Chi è appassionato di manga e di letteratura orientale, è perfettamente consapevole di quanto ricorrenti siano le apparizioni del quartiere di Kabukicho nei programmi televisivi e nei romanzi di alcuni autori nipponici, il più famoso dei quali è senza dubbio Tokyo Soup dello scrittore Ryu Murakami.
Il karaoke a Tokyo
Daisuke Inoue è un nome che ai più, molto probabilmente, non dirà nulla. Comprensibilmente. Stando a quanto vuole la tradizione, si tratta dell’uomo che ha inventato uno dei fenomeni più spettacolari, divertenti e diffusi in assoluto, quello del karaoke. Quando si utilizza questo termine si allude ad un’attrazione musicale e d’intrattenimento nata negli anni ottanta; la parola nasce dall’unione di termini giapponesi, che tradotti in italiano significano rispettivamente “vuota” e “orchestra”. Dal 1980 in avanti, partendo dalla città di Kobe, in Giappone, ed arrivando prima negli Stati Uniti, il karaoke si è diffuso in tutto il mondo, ed oggi rappresenta un vero e proprio fenomeno socio-culturale.
Nei locali pubblici i clienti, su sfondi musicali preregistrati, si esibiscono cantando le loro canzoni preferite, ma anche quelle che non conoscono affatto, dal momento che le parole compaiono e scorrono su uno schermo. Con il passare del tempo, l’idea è stata accolta con grandissimo interesse dalle case tecnologiche, che hanno dato vita a centinaia di prodotti che consentono ad “aspiranti cantanti”, ma anche a comitive di amici, di divertirsi esibendosi in vere e proprie gare. In Italia, il boom di questo fenomeno è avvenuto solamente a partire dagli anni novanta e grazie ad una trasmissione di successo condotta dal noto showman Fiorello, intitolata, appunto, Karaoke.
Malgrado la denominazione tipicamente nipponica, non mancano i detrattori convinti che l’idea originale e la prima diffusione della stessa spettino agli Stati Uniti. Quel che è certo è che l’inventore del primo apparecchio per Karaoke era giapponese, e che oggi chi visita la terra del Sol Levante può scegliere tra migliaia di locali in cui divertirsi cantando in questo mondo. Questo vale soprattutto per la capitale Tokyo: da Shibuya a Roppongi, passando per Chiyoda e Asakusa, fino al quartiere di Gotanda, sono decine i luoghi in cui si paga per divertirsi, cantando con il karaoke.
La divisa scolastica giapponese a Tokyo
Chi è avvezzo ai manga, ai cartoni animati giapponesi e alla letteratura del Sol Levante, molto probabilmente sa che uno degli elementi più caratteristici dell’istruzione in Giappone è la divisa che gli allievi sono tenuti ad indossare. Le scuole giapponesi sono note per il loro rigore, l’osservanza dei regolamenti d’istituto è d’obbligo e difficilmente presidi e direttori transigono di fronte a comportamenti che violano le regole scolastiche: l’obbligo di portare le uniformi scolastiche in orario di studio è assolutamente inviolabile. La divisa scolastica fu introdotta nel XIX secolo e con il passare dei decenni si è diffusa a macchia d’olio, raggiungendo quasi tutte le scuole pubbliche e private: oggi è obbligatoria quasi dappertutto e diversa per maschi e femmine.
I primi hanno un completo molto semplice, composto da una camicia bianca e da calzoni di colore blu scuro, mentre le seconde indossano una gonna plissettata grigia e una blusa bianca. Per quanto riguarda le calzature, sia per i maschi che per le femmine, consistono generalmente in un paio di mocassini neri o marroni. Nella maggior parte dei casi, ci sono divise estive e divise invernali, ma laddove richiesta, la divisa deve tassativamente essere indossata in orario scolastico. Tra l’altro, oltre che come una regola inderogabile, la divisa scolastica va interpretata anche come il segno distintivo dell’istituto. Ogni scuola ha la propria divisa ed i propri colori.
Serafuku è il nome della più diffusa divisa scolastica femminile, composto per metà dall’inglese “sailor” (marinaio”, e per metà da “kanji”, che vuol dire abito. In effetti, chi ideò le prime divise scolastiche, nel 1800, prese spunto dall’abbigliamento dei marinai, è per questo che in ogni caso i colori dominanti sono il bianco e l’azzurro. Se vi trovate a passeggiare per le strade di Tokyo, vi capiterà molto probabilmente di incrociare qualche gruppetto di studenti, abbigliati con la classica divisa scolastica giapponese.
Tokyo e i manga giapponesi
Più della Tokyo Tower, più del karaoke, più della classica divisa scolastica, probabilmente il simbolo della cultura giapponese più diffuso nel mondo è il manga. L’etimologia del termine è legata ad immagini libere e prive di uno schema preciso, oggi quando si utilizza questa parola ci si riferisce ai fumetti giapponesi, contraddistinti da uno stile preciso ed apprezzato da milioni di giovani (ma non solo) in tutto il mondo. Il legame tra Tokyo e i manga giapponesi è più forte di quanto si possa pensare: sono tantissime le opere fumettistiche e televisive (cartoni animati) ambientate nelle strade e nei quartieri della capitale nipponica.

Quali sono le caratteristiche essenziali di un’opera manga? I personaggi hanno tratti infantili e facilmente riconducibili ad un’immagine non reale: occhi grandi e forme caricaturali capaci di creare all’inizio anche una certa confusione. Da un punto di vista prevalentemente grafico, il fumetto giapponese è diverso dagli altri anche nell’impaginazione: ha una gabbia più larga rispetto a quello occidentale, che ha 12 quadrati contro gli 8 del Sol Levante, ma soprattutto, il manga giapponese si legge al contrario rispetto al fumetto europeo. Secondo le consuetudini orientali, è meglio leggere l’opera dall’ultima alla prima pagina.
Se siete appassionati di questo genere, e vi trovate a Tokyo, avete una ulteriore ragione per sentirvi fortunati. Entro i confini della capitale, infatti, sorgono decine e decine di musei e gallerie interamente dedicate al manga, uno stile avvincente e perfetto per tutte le età. Degno di menzione è per esempio il Tokyo Anime Center di Akihabara, raggiungibile con la metropolitana scendendo alla stazione di Akihabara. Chi vi entra può prender parte a visite guidate in lingua inglese, che lo condurranno alla scoperta della storia e dello sviluppo dei generi manga e anime. Poi ci sono workshop, una biblioteca ed un punto ristoro per rilassarsi. E’ aperto tutti i giorni dalle 11 alle 19 e l’ingresso è gratuito.
Hello Kitty a Tokyo
Una gattina da un miliardo di dollari all’anno. Impossibile? Non se la gattina in questione è uno dei marchi commerciali più famosi al mondo, come Hello Kitty. Dall’abbigliamento ai biglietti d’auguri, passando per i prodotti di cancelleria e decine di altri oggettini, Hello Kitty è raffigurata su centinaia di articoli differenti, che nel corso dei decenni l’hanno trasformata in una vera e propria icona. Stiamo parlando del più famoso personaggio creato dalla Sanrio, un’azienda di Tokyo, che nel 1974 ideò l’immagine di un gattino bianco con un fiocco rosso o un fiore sull’orecchio sinistro. In realtà, con il passare del tempo Hello Kitty si è adattata alle combinazioni più svariate: i pupazzi e le versioni inanimate la riproducono senza la bocca, che invece è presente nella serie televisiva.
Nata a metà degli anni settanta, Hello Kitty è stata commercializzata a partire dai primi anni ottanta negli Stati Uniti, e divenuta un marchio fortissimo in ambito di merchandising e pubblicità soltanto negli anni novanta. E’ ufficialmente indirizzata al pubblico dei teenagers, ma piace tantissimo anche gli adulti, compresi quelli famosi. Da Mariah Carey a Britney Spears, passando per Cameron Diaz e Paris Hilton, sono numerosissime le celebrità che hanno adottato Hello Kitty come status simbol, contribuendo in maniera determinante al suo straordinario successo internazionale.
Passeggiando per le strade del quartiere di Asakusa, quello dello shopping, ma anche per Roppongi ed altre zone del centro di Tokyo, è praticamente impossibile non imbattersi in almeno un’immagine della tenera gattina bianca, che strizza l’occhio o saluta con la manina alzata. Ma se siete tra i milioni di fan accaniti di Hello Kitty, e vi trovate nella capitale giapponese, non potete mancare una visita ai grandi magazzini Tobu di Ikebukuro, all’interno dei quali è aperto il più grande punto vendita di Hello Kitty al mondo.
La pratica dell’ofuro a Tokyo
Tokyo è la più occidentale delle metropoli orientali: su questo non c’è ombra di dubbio. Per moltissimi aspetti, la capitale del Giappone è vicina alle abitudini europee e americane. Nondimeno, Tokyo ha una vita tutta sua, o meglio è la culla di una civiltà antichissima che si è forgiata nei secoli senza la minima influenza esterna, ed è custodita in maniera pressochè perfetta ancora oggi. Uno degli aspetti che differenzia il mondo occidentale da quello orientale è la concezione del “bagno”. Molti sono soliti accostare, erroneamente, l’immergersi nella vasca da bagno per lavarsi il corpo e i capelli, all’ofuro giapponese, che è qualcosa di diverso e molto più profondo.

La pratica dell’ofuro a Tokyo è molto più che una semplice immersione, è l’arte del bagno, eseguito per mezzo di un rituale ben preciso. Il primo passo è l’ingresso in una stanza adibita alla pulizia del corpo in quanto tale: ci si a accomoda su uno sgabellino e ci si insapona, prima di versarsi addosso dell’acqua calda da lasciar cadere appositamente in un catino, perchè contenente impurità. Successivamente, ci si sposta in un’altra stanza, dominata da una vasca di legno piccola nelle dimensioni, e piena di acqua bollente. L’ofuro consiste nell’immergersi in quest’ultima senza utilizzare neppure un filo di sapone, ma con il semplice obiettivo di rilassare mente e corpo.
E’ fondamentale entrare in vasca estremamente puliti, perchè una volta terminato il bagno, questa sarà occupata da un’altra persona, che utilizzerà la stessa acqua. La pratica dell’ofuro è uno dei segni più distintivi della cultura giapponese e di Tokyo in particolare: nella capitale sono centinaia i centri adibiti all’Ofuro, che tuttavia è molto ricorrente anche nelle case, soprattutto quando si hanno ospiti. In Giappone, offrire a questi ultimi un bagno bollente – facendoli entrare in vasca naturalmente per primi – è sintomo di grande ospitalità.