
L’attuale congiuntura economica all’interno del continente europeo presenta fenomeni socio-economici nettamente diversi tra loro, tanto da definire un quadro generico dell’Europa dall’identità irregolare, che manifesta divari importanti tra i vari Stati, con una conseguente influenza sulla qualità di vita della comunità. Il divario tra le nazioni si manifesta in aspetti quali gli stipendi medi pro-capite, le imposte, i costi del lavoro, i servizi al cittadino, la sanità, e più in generale il costo della vita rapportato ai guadagni netti percepiti. Il quadro che emerge da un recente confronto dei dati tra salari e spese quotidiane, come riporta l’Atlante Geopolitico della Treccani, evidenzia un divario netto tra Paesi come l’Italia e altri come la Germania, l’Inghilterra e la stessa Spagna, la cui situazione viene spesso accomunata a quella del Bel Paese.



Dal grafico si evince che la media europea del reddito medio pro-capite è equivalente a 1.904 euro al mese al netto delle imposte. Il costo medio della vita è stato calcolato in 39,7 euro al giorno, con un’incidenza del 68% sull’intero reddito. Il Paese in cui il rapporto tra stipendi e denaro speso è più favorevole è la Germania, con una media di 2.580 euro percepiti mensilmente e un costo della vita quotidiana di 37,2 euro al giorno, con un impatto equivalente al 43,2%. Il secondo gradino della graduatoria dei Paesi più vivibili d’Europa è occupato dalla Gran Bretagna, Paese in cui i cittadini possono contare su uno stipendio medio pari a 2.570 euro, mentre si trovano a sostenere un onere giornaliero di 50,6 euro, con un’incidenza generale del 58,8%. Al terzo posto si trova la Francia, in cui i salari medi arrivano a 2.180 euro al mese (dunque siamo ancora al di sopra dello standard continentale) a fronte di una spesa di 44,7 euro per le necessità quotidiane, con un impatto sulle finanze delle famiglie del 60,6%. Il rapporto tra entrate e uscite aumenta leggermente in Svezia, dove un reddito medio tocca i 1.910 euro al mese e il cittadino spende circa 43 euro al giorno. La Spagna è la prima delle nazioni europee a trovarsi leggermente al di sotto della media, con stipendi di 1.850 euro mensili ma con un buon rapporto guadagni/spese, che ammonta al 58,8%, frazionato in soli 35,9 euro al giorno, utilizzati dai cittadini per acquisti di ogni genere.
A segnare il primo netto divario con il resto d’Europa è proprio l’Italia, che con un distacco considerevole rispetto alla vicina Spagna, si attesta tra i fanalini di coda del continente. I dati parlano di uno stipendio pro-capite di 1.410 euro e di una spesa di 39,4 euro al giorno (quasi equivalente alla cifra spesa mediamente da uno svedese, in cui i guadagni sono decisamente superiori) generando in questo modo un costo della vita molto alto, pari all’ 83,8%, quasi 20 punti percentuale in più rispetto alla media europea.
La situazione italiana
Quali sono le cause di questo quadro economico nazionale così sfavorevole per i cittadini del nostro Paese? Il Prof. Francesco Daveri, ordinario di Economia all’università degli Studi di Parma, spiega in un’intervista a L’Espresso l’origine di questo paradosso:
“Arrivare a fine mese in Italia è più difficile che in altre nazioni ugualmente colpite dalla crisi, come la Spagna, perchè lo Stato pesa troppo sulle spese del Paese”
Tra gli oneri economici che gravano sul portafogli dei cittadini vi sono le cosiddette utilities, corrente elettrica, acqua e gas, i cui costi sono levitati in seguito alla privatizzazione delle forniture. Finchè le società erogatrici delle utenze sono state in regime di monopolio pubblico, il prezzo delle bollette si è mantenuto su un livello per così dire “politico”. Con la privatizzazione e la quotazione in borsa di aziende come Eni e Enel, il carico economico per coprire gli investimenti non più effettuati dallo Stato, è ricaduto sui contribuenti, così come la necessità di incrementare gli utili per rendere le società più appetibili in Borsa.
Lo stesso discorso vale per le imposte indirette come l’IVA o le accise statali sui prodotti (soprattutto la benzina), che negli ultimi anni sono aumentate senza sosta nonostante la diminuzione degli stipendi. Coprire i costi della dispendiosa macchina statale italiana per far quadrare i conti, attualmente incide direttamente sul costo della vita, penalizzando maggiormente i cittadini con reddito di fascia media e bassa, che devono acquistare ogni sorta di bene o servizio a prezzo maggiorato, spendendo le stesse cifre dei cosiddetti ”ricchi”.
Questo meccanismo spiega inoltre i prezzi, decisamente troppo alti, di RC auto, affitti e conti correnti bancari. Una buona strada per agevolare l’uscita da questo circolo vizioso potrebbe essere la liberalizzazione, unita a un aumento dei controlli: in settori come la telefonia, questa strategia ha effettivamente generato un risparmio sensibile sulle spese degli utenti. La spesa maggiore, però, rimane quella dello Stato (basti pensare che il 75% del costo di un litro di benzina è costituito da accise statali): solo una diminuzione consistente degli sprechi nella burocrazia e un sensibile taglio delle spese pubbliche in eccesso, potrebbero portare effettivamente a una diminuzione delle imposte dirette e delle spese indirette, con un conseguente alleggerimento del peso economico sui contribuenti e una plausibile ripresa del commercio.
Conclusione
Il rapporto tra stipendi e costo della vita in Italia è tra i più sfavorevoli d’Europa: il paradosso nazionale fa si che in Paesi come la Spagna, in cui la crisi è più forte, si viva comunque meglio.
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